Dott. Tommaso Carlesi Psicologo

Problemi psicologici e psicopatologici

In questi ultimi anni sono stati fatti molti progressi in campo pediatrico in special modo dal punto di vista della salute fisica del bambino ricoverato in ospedale, infatti la messa a punto di tecniche diagnostiche altamente sensibili e l'applicazione di terapie di recente concezione hanno portato ad un miglioramento delle possibilità  terapeutiche da parte dei medici. Già  da tempo però psicologi, psicoterapeuti, pediatri, psichiatri, ed altri operatori sociali hanno iniziato a porre l'attenzione sui pericoli derivanti dal trauma emotivo che accompagna l'ospedalizzazione in special modo in età  infantile.

Il primo aspetto da tenere in considerazione al momento del ricovero è proprio l'allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare, in special modo sarebbe essenziale ridurre al minimo la separazione tra il bambino e la figura materna, che può determinare a distanza di tempo disturbi del comportamento di varia intensità . Infatti la relazione madre/bambino può essere considerata cronologicamente il primo sistema di tirocinio socioculturale per il processo di socializzazione. Questa relazione, fino a poco tempo fa, impostata unicamente su fenomeni di natura biologica e quindi universalizzabile nelle sue modalità , viene oggi valutata come una entità  variabile in funzione della cultura e della società  in cui si esplica.

Può essere interessante fare un brevissimo excursus storico per spiegare le motivazioni che in passato hanno portato all'allontanamento delle figure parentali dalle corsie degli ospedali pediatrici e per capire come mai adesso invece si tende a reinserirle, a mio parere a ragione, all'interno delle stesse. Del resto questa separazione non èsempre stata la consuetudine del nostro tipo di assistenza sanitaria, infatti essa è in larga misura derivata dal progressivo miglioramento attuato negli ospedali delle norme igieniche. Fino alla fine dell'Ottocento l'ospedalizzazione della madre, conseguente al ricovero del figlio, era infatti attuata normalmente in tutti gli ospedali. Alle madri l'ingresso in ospedale è stato impedito solo in seguito, soprattutto nei primi anni del Novecento quando la presenza di un'elevata mortalità  e morbilità nei neonati e nei lattanti fece pensare che ciò fosse dovuto alla presenza dei parenti in corsia e fece adottare misure di isolamento e di igiene più rigorose. Studi successivi, quali quelli promossi dall'americano Miller, dimostrano che l'assistenza ai prematuri attuata a casa portava ad un tasso di mortalità  solo poco più elevato di quello che si aveva negli ospedali che attuavano strette misure di isolamento. L'assistenza sanitaria ha fatto sì che si cristallizzassero certi criteri di strutturazione ospedaliera, tanto che nella costruzione di nuovi edifici non è stata quasi mai considerata la possibilità  di alloggiare la madre, confermando, di fatto, il vecchio divieto secondo cui ciò non era possibile per il rispetto di norme igieniche. Dai primi del novecento evidentemente sono ormai trascorsi cento anni e le tecniche di sterilizzazione e le profilassi di tipo igienico si sono ovviamente evolute, tanto da non giustificare più l'allontanamento obbligatorio delle figure genitoriali, se non in casi eccezionali. Questa nuova situazione ha permesso da anni in vari paesi occidentali, non solo di reinserire le madri o i padri all'interno delle corsie dei reparti di pediatria, ma di far loro assumere un ruolo che non sia solo assistenziale, ma parte integrante del processo di cura e guarigione del bambino. I piccoli infatti si trovano a vivere situazioni di forte disagio e sofferenza che solo la presenza delle figure di attaccamento può riuscire a lenire e non solo anche a prevenire problemi per la vita futura.

Lo psicologo assume, così, un ruolo fondamentale, per le sue competenze, nel sostenere e guidare una ristrutturazione del modello pediatrico tradizionale, che sia centrata sul bambino e non sul personale sanitario o sulle istituzioni sanitarie. Si tratta di incoraggiare l'avvicinamento alla sofferenza del bambino, per favorire una migliore disponibilità  all'ascolto e al dialogo e di favorire il contatto con la vita emotiva, per la comprensione e l'elaborazione dei sentimenti propri ed altrui che possono circolare nella relazione con il bambino in difficoltà  e con gli adulti attorno a lui.


Aspetti emotivi dell'ospedalizzazione del bambino


I sentimenti vissuti da questi piccoli sottoposti a pratiche mediche, sono molteplici e comprendono l'ansia, la paura, il dolore, la rabbia. Talvolta, questi bambini attraversano dei veri e propri stati di "depressione" e sono comuni anche dei periodi di regresso, causati dall'evoluzione della malattia che si accanisce su questi piccoli. I bambini in queste condizioni, non percepiscono soltanto ciò che accade in loro, ma percepiscono anche i sentimenti di rabbia, di impotenza e di dolore vissuti dai loro familiari che si ritrovano privi di armi, spaventati e angosciati, di fronte a questa situazione così, complessa. Il bambino sofferente prova anche dei sentimenti verso il personale sanitario e, spesso, sono caratterizzati da diffidenza e da sospetto, in quanto sono proprio queste figure ad essere considerate pericolose e minacciose. L'ospedalizzazione crea un turbamento nelle abitudini e nel modo di vivere del bambino con alterazioni dei suoi rapporti familiari e sociali. Le terapie a cui si sottopongono questi bambini comportano anche dei cambiamenti a livello fisico. L'aumento del peso, l'affaticamento durante le pratiche ludiche, a volte rischiano di rendere più difficoltose le relazioni con i coetanei perchè questi bambini vengono percepiti come "diversi". Il tipo di reazione alla malattia e le difficoltà psicologiche incontrate dipendono dal grado di maturazione effettiva raggiunta, dall'età , dal carattere acuto o cronico, benigno o maligno della malattia stessa, ma in special modo dall'atteggiamento della famiglia, dal clima emotivo nel quale i bambini e i loro genitori si trovano. Risulta essenziale infatti che nella coppia si riesca far "fronte comune" nel gestire un momento così complesso per tutto il nucleo familiare.

Prima di andare ad esporre nel dettaglio le varie problematiche che questi "nostri" piccoli e i loro familiari, possono dover affrontare nel caso di ospedalizzazioni più o meno lunghe e frequenti, ritengo sia molto importante precisare che quanto qui riportato ha un valore puramente indicativo e che come ogni generalizzazione è soggetto ad imprecisioni. Ogni bambino, ogni padre ed ogni madre sono differenti e il riportare qui di seguito quello a cui si può andare incontro non significa che dovrà  per forza avvenire in questi modi e tempi. L'utilità  di queste informazioni è  di prevenire l'insorgere di alcune problematiche, partendo proprio dalla consapevolezza che conoscendole si possono aggirare, contenere e sicuramente risolvere, a mio modesto parere in special modo se seguiti da validi professionisti (pediatri, psicologi, psicoterapeuti e operatori del sociale in genere).

Non bisogna inoltre mai dimenticare che le famiglie sono sistemi veri e propri e che la sofferenza o il disagio di uno di essi si riversa inevitabilmente sugli altri, per questo torno a ribadire l'importanza di una visione d'insieme di queste problematiche che possa vedere come un'unica entità  il sistema bambino-famiglia con il sistema ospedale nel suo complesso.


L'ospedalizzazione nei primi 12/18 mesi di vita


Questo è forse il momento più delicato di tutto lo sviluppo del bambino; in questa fase il legame di attaccamento con la madre si è saldamente strutturato e la sua continuità  si rende indispensabile. Inoltre l'autonomia raggiunta dal bambino è estremamente precaria ed ogni interferenza dell'ambiente esterno sull'unità  della coppia madre-figlio rischia di rallentare i traguardi evolutivi. Altri disagi possono insorgere dall'essere assistito per un certo periodo di tempo da persone diverse ed in maniera discontinua. Queste nuove figure infatti possono determinare, per la loro diversità , una sorta di  disorientamento nel bambino, influenzando così il suo grado di affettività  che finisce con l'impoverirsi, al punto da fargli assumere in seguito atteggiamenti di tipo asociale. Oltre a relazioni sociali disturbate sembra che la funzione maggiormente colpita sia quella del linguaggio in special modo la capacità  di astrazione. In taluni bambini si è osservato che la separazione da ospedalizzazione ha influito anche su aspetti specifici dei processi intellettivi e della personalità . Va però sottolineato che non si tratta quasi mai di disturbi irreversibili ma più spesso transitori, infatti i disagi provocati da separazioni di breve durata tendono a scomparire rapidamente; la reversibilità  dei danni derivanti da separazioni più lunghe (qualche mese) è anch'essa quasi sempre possibile.


L'ospedalizzazione nei bambini di 3/4 anni


In questa fase il bambino completa l'acquisizione di tutti i meccanismi motori indispensabili alla sua attività , arrivando alla maturità  funzionale del suo sistema neuromotorio. Quando in questa fase il bambino, ospedalizzato, viene a perdere le cure genitoriali, egli non è ancora in grado di capire la necessità  di questa separazione e non è semplice prepararlo ad un tale evento. Così, in preda ad una reazione acuta e durevole di ansia, inizia a manifestare il suo malumore e la sua collera in maniera ben più attiva e cosciente di quanto poteva accadere nei primi mesi di vita. Normalmente quando la degenza del bambino è di breve durata egli manifesta il suo disagio mettendo in atto comportamenti di protesta e di pianto. Di fronte ad una lunga degenza (nell'ordine di mesi e oltre) è più facile osservare comportamenti di rabbia nei confronti delle figure di attaccamento. E' da rilevare che questo può accadere anche se i bambini hanno occasione di vedere la madre quotidianamente. Anche nei bambini di questa età è sempre presente il pericolo di regressione: abbastanza di frequente infatti le madri di bambini dimessi dall'ospedale riferiscono di averli dovuti rieducare alla pulizia ed a mangiare da soli. Altri sintomi di questa regressione indotta dall'ambiente ospedaliero sono: paure notturne, repressione dell'espressione verbale e una sintomatologia psicosomatica funzionale transitoria.




L'ospedalizzazione nei bambini tra i 4 anni e l'adolescenza


Se nei bambini fino a 3/4 anni di età  l'ospedalizzazione rappresenta prevalentemente un notevole trauma a livello dei rapporti con la madre, per il bambino più grande il ricovero in ospedale significa soprattutto l'allontanamento da "tutto"ambiente familiare. Anche per i bambini di questa età  esiste sempre il rischio di andare incontro a fenomeni di disadattamento e di regressione del tipo di quelli riferiti per le età  precedenti e a forme di reazioni depressive, mascherate da disturbi psicosomatici (enuresi, encopresi, anoressia, ecc.). Dotato di un equilibrio emotivo ancora instabile il bambino arriva con facilità  a strutturare l'ansia e l'angoscia per ciò che lo aspetta sotto forma di pericoli fantastici, interpretando gli eventi curativi come punizioni. Oltre al pericolo di regressioni nel campo delle acquisizioni igieniche, motorie e del linguaggio o all'insorgenza di forme fobiche, i bambini di questa età  sottoposti a lunghi periodi di ospedalizzazione presentano manifestazioni di deterioramento della personalità quali infantilismo, egocentrismo, monotonia e tristezza, indipendentemente dalla gravità  della malattia organica che ha causato il ricovero e del tipo di terapia applicato.


L'ospedalizzazione dell'adolescente


L'acquisizione della propria autonomia, l'identificazione con i compagni e con il gruppo, l'integrazione delle proprie pulsioni sessuali, le preoccupazioni intorno al proprio corpo ed al proprio aspetto fisico, la propria identità, nonchè valori e scopi della propria vita fanno dell'adolescente malato cronico un soggetto particolarmente vulnerabile. L'adolescente porta con sè un'ansia generata dalla paura della morte, della mutilazione e avverte altri timori non peculiari dell'adolescenza ma che assumono un'importanza particolare poichè questo è uno stadio in cui il giovane è alla ricerca della sua indipendenza (per questo i teenager avvertono di più la mancanza della loro routine giornaliera, i dischi, le telefonate, gli amici, la radio) ed  i maschi presentano in genere maggiori disagi psicologici delle femmine. La mascolinità  viene di solito associata all'indipendenza e all'attività , mentre la femminilità  alla dipendenza e alla passività. La giovane cronicamente malata tende quindi a sviluppare un concetto di sè in linea con le aspettative sociali, mentre il maschio si può sentire facilmente inadeguato e poco adatto dal punto di vista sociale.


Comportamenti e meccanismi di difesa nel bambino malato cronico


L'ospedalizzazione sottopone il bambino di qualunque età  all'insorgenza di sentimenti di insicurezza o di ostilità  e ad uno stato di «deprivazione» per cui si assiste ad un impoverimento della sua personalità . Così succede che limitazioni imposte dall'ambiente quali le restrizioni del gioco possono rimuovere la valvola di sicurezza necessaria al bambino per scaricare l'ansia e i sentimenti spiacevoli facendolo fantasticare eccessivamente per far fronte agli eventi della nuova situazione. Così il gioco e le attività  scolastiche dovrebbero essere essenziali per un malato cronico. Il gioco gli permette di esprimere e di rivivere i suoi conflitti e le sue angosce profonde con la frequente inversione dei ruoli e la canalizzazione delle cariche aggressive; la scuola serve a mantenere il legame con la vita «normale», che si svolge al di fuori dell'ospedale, a dare un significato, un ordine alla sua giornata, a dare una speranza di continuità. Di fronte allo sconvolgimento delle sue abitudini il bambino si trova spesso disorientato, perde la sua sicurezza, costituisce dei nuovi meccanismi di difesa e risponde all'ansia che lo avvolge in maniera personale. Altre comuni difese come l'isolamento, la razionalizzazione, la rimozione e la proiezione (su persone o cose del mondo esterno) sembrano tutte poter essere di aiuto al bambino per far fronte alla sua realtà . I meccanismi di difesa che più sembrano danneggiare lo sviluppo della personalità  sono la regressione, il meccanismo di fuga dalla realtà  e l'isolamento portando da un lato a comportamenti più infantili e dall'altro a limitare i suoi interessi e i suoi rapporti sociali. Durante i periodi di lunga ospedalizzazione i più piccoli possono giungere alla perdita del controllo del proprio corpo che viene manipolato come un oggetto, con conseguente ritorno a livelli di sviluppo precedenti. Nell'età  scolare il bambino malato cronicamente comincia a rendersi conto della differenza che esiste tra sè e i suoi compagni nella attività  fisica, nella dieta, nel comportamento. Si notano così assai di frequente difese di tipo fobico, che portano ad autosacrificarsi per la malattia; tali difese vengono usate da questi bambini insieme con altre norme disciplinari rigidamente applicate, quasi fossero reazioni all'idea di subire passivamente un torto. I bambini ospedalizzati devono sempre essere costantemente orientati al nuovo ambiente ed alla vita che in esso si conduce. Molti di loro ad esempio in casa dormono con una piccola luce, oppure vengono accompagnati dai genitori ogni qualvolta si recano al bagno; mantenere questa abitudine anche nel reparto è molto importante, così come è necessario non far sentire al bambino l'obbligo del letto che può assumere il significato di uno strumento di contenzione. Quindi bene aiutare il bambino a mantenere il senso della normale routine e lasciarlo libero fuori dal letto più tempo possibile. L'esame dei disegni dei bambini ricoverati si è rivelato un utile mezzo di indagine e di abreazione per le fantasie conscie ed inconscie che possono esservi rappresentate; la presenza di segni patologici (ospedale, strumenti medici, dottori, infermieri, organi) e non patologici (paesaggi nei bambini piccoli, streghe, mostri e fantasmi nelle età  successive) aiuta a valutare il livello di gravità  del disagio psicologico.


I genitori

L'impatto di una malattia infantile come la sindrome nefrosica è talmente forte, che i valori, la vita, le relazioni di tutti i membri della famiglia cambiano. I genitori dei bambini malati di malattie rare soffrono di disturbo post-traumatico da stress (DPTS) sia durante la cura che anche dopo la guarigione dei figli. E' quanto spiegano alcuni ricercatori del Children's hospital di Philadelphia nel loro articolo sul 'Journal of family psychology', in cui raccomandano ai medici uno screening regolare dei genitori durante il trattamento di cura dei bambini, tramite un adeguato supporto psicosociale. Gli scienziati hanno infatti condotto due studi sul disturbo post-traumatico da stress. Nel primo hanno esaminato le condizioni di 119 madri e 52 padri durante la cura dei bambini e hanno visto che tutti i genitori, tranne uno, erano colpiti da questi disturbi. Nel secondo studio invece hanno descritto i modelli dei sintomi da stress in 98 coppie di genitori di adolescenti sopravvissuti al cancro, che avevano finito il trattamento circa cinque anni prima dello studio, e hanno verificato che i sintomi da DPTS, pur se meno comuni di quelli riscontrati durante il periodo di cura, colpivano comunque almeno uno dei due genitori in maniera medio-grave.


"Speriamo che i risultati di queste ricerche - aggiunge Melissa Alderfer, una delle autrici dello studio - aiutino madri e padri a capire che è normale avere disturbi da stress come reazione alla malattia dei loro figli. I genitori sono come dei veri e propri pazienti invisibili, e devono prendersi cura di se stessi, in modo da poter aiutare meglio i loro bambini. Anche quando la terapia ha successo, c'è sempre la paura di una recidiva. Le tradizionali misure della sofferenza psichica, che si concentrano su ansia e depressione, non riescono a dare un quadro completo della situazione. E' necessario quindi allargare l'esame psicologico dei genitori comprendendo anche i traumi da stress". Tra i sintomi del DPTS ci sono l'invadenza, l'evitare situazioni causa di stress, l'insonnia, un'eccessiva sudorazione, vertigini e tachicardia.

Tanto più grave è la situazione del bambino, tanto più aumenta lo stress dei singoli genitori e della coppia. La vita sessuale per alcuni scompare del tutto.

La tensione così forte fa riemergere rancori e frustrazioni, tanto che non sono rari i casi di separazione e divorzio. Se la crisi è  grave, cercate aiuto presso personale specializzato.



Fratelli e sorelle


La vita familiare è completamente alterata e anche i fratelli e le sorelle ne risentono.

Si sentono gelosi del fratello malato che riceve tante attenzioni e possono sentirsi in colpa, credendo di aver causato la malattia (magari per avergli augurato del male in un momento di rabbia) possono aver paura di contrarla loro stessi, possono soffrire perchè il fratello sta male. Sanno che un loro fratello è molto malato e che la mamma si deve dedicare a lui. Per rabbia (vorrebbero che il fratello stesse bene e che la mamma accudisse anche loro) possono divenire irascibili e disobbedienti, con un cattivo rendimento e comportamento a scuola. La situazione è particolarmente difficile per i bambini piccoli, che non sono in grado di capire esattamente quanto sta succedendo e possono sviluppare grandi sentimenti di gelosia verso il malato.

Per ovviare a queste problematiche si possono prendere alcuni accorgimenti che consentono di far diminuire i sentimenti di rabbia, paura, ansia e stress dei propri figli, per esempio se l'ospedalizzazione è prolungata è utile avere un dialogo con gli altri figli per rispondere alle loro domande. I più grandi possono aiutare la madre,sostituirla in ospedale ed aiutare il fratello malato. Anche con i fratelli più piccoli è utile chiedere di dare una mano in casa, in quanto si sentono gratificati da questa richiesta di sostegno. In generale quindi si può affermare che in una fase come quella di un ricovero di lunga o media durata di un figlio è essenziale che tutti i membri del sistema familiare riescano a mettere in atto comportamenti tali da rendere più saldi i rapporti affettivi presenti, esternando i propri bisogni, le proprie paure ma anche le proprie speranze. Il sentimento d'amore che tiene unita  la famiglia in questo preciso frangente deve essere esplicitato senza timori.


Indicazioni di comportamento con il bambino ospedalizzato


Chi lavora con i bambini deve maturare la convinzione che il bambino affidato alle sue cure dovrà  essere trattato con la stessa cura che avrebbe per un ospite di riguardo; più il bambino è piccolo più è sensibile e ogni ferita psicologica lo seguirà  anche nella vita adulta. Chi lavora nei reparti pediatrici dovrebbe considerare che i bambini, soprattutto quelli entro i cinque anni, sono quelli che subiscono maggiormente l'effetto traumatico dell'ospedalizzazione; le attenzioni e le giuste parole per aiutarli a capire l'esperienza che stanno vivendo possono risultare efficaci e prevenire i disturbi emotivi conseguenti all'ingresso in ospedale, come pure l'esprimere che il distacco fisico dalla famiglia non comporta una perdita affettiva, ma che i legami affettivi permangono anche in assenza dei propri cari, renderà più sopportabile l'ospedalizzazione (vedere specchietto in basso). Non si deve però dimenticare che, se per certi bambini l'ospedalizzazione costituisce una separazione o la paura di una perdita affettiva, può per altri trasformarsi in una esperienza di vita e di socializzazione dove si possono sperimentare nuovi tipi di relazioni; nell'ospedale molti bambini possono trovare una varietà  di nuove possibilità  di contatti sociali e culturali fino ad allora sconosciuti. Perchè ciò avvenga è determinante il rapporto che il bambino stabilisce con le persone che trova nell'ospedale. Per questo ogni metodo adottato deve essere centrato sul bambino e non sulle istituzioni o sullo staff medico e paramedico; proprio queste figure professionali possono diventare il mediatore che permette al bambino di sperimentare nuove relazioni, ad esempio con i medici, che assumeranno caratteristiche sempre meno minacciose, con gli altri bambini, con i genitori degli altri bambini. In tal modo si prospetta a tutti i piccoli pazienti il contatto con una dimensione nuova e unica. Per far questo ormai in molti ospedali viene utilizzata la cosiddetta Terapia del Sorriso, che indubbiamente permette di arginare buona parte di quelle problematiche precedentemente esposte. Infatti ridere fa bene alla salute e ancor di più se a farlo sono i bambini che si trovano in ospedale. Ed è proprio una ventata di allegria quella che cercano di portare i tanti dottor Sorriso che da anni regalano gioia a piccoli che vivono in un momento difficile, offrendo loro, per un po', un mondo fatto di colori, magia e musica. I dottor Sorriso sono veri clown. Non si tratta, quindi, di medici vestiti da pagliacci, ma di professionisti della risata (opportunamente preparati per lavorare a contatto con persone che vivono un momento difficile) vestiti da medici, con tanto di camice multicolori, nasoni rossi e visi truccati. Lo scopo è riportare il bambino alla sua condizione di normalità : l'allegria. E' questo lo scopo che si prefiggono i dottor Sorriso: i piccoli, infatti, sono naturalmente portati a ridere e soltanto quando stanno male e avvertono che qualcosa non va smettono di farlo. La visita dei clown mira ad allontanare l'ansia che il ricovero ospedaliero comporta, riportando il bambino nel suo mondo spensierato sfruttando la magia, il gioco, la musica, l'intrattenimento scherzoso e l'abbigliamento buffo. Il loro compito non ha nulla a che fare con le cure vere e proprie, che competono solo ai medici, ma la serenità  e la gioia che la visita dei clown porta con sè permette a tutti bambini, genitori e personale ospedaliero di allentare la tensione e di instaurare una maggiore fiducia reciproca. L'allegra complicità  che si viene a creare, inoltre, facilita lo stabilirsi di un ponte di collegamento privilegiato fra i piccoli e i medici "veri" che non vengono più visti soltanto come coloro che danno medicine e visitano a orari stabiliti. Non va dimenticato, inoltre, che per ogni bambino ricoverato ci sono anche genitori che vivono in modo altrettanto difficile questo momento. E quanto più vedono il loro piccolo sereno, tanto più diminuisce il loro stesso stato di ansia: ciò comporta benefici indiretti anche nel piccolo - che avverte sempre lo stato d'animo di mamma e papà  - e nel loro rapporto con i medici, dei quali accettano con maggiore fiducia le cure.


Indicazioni di comportamento


Per concludere possono essere utili alcuni consigli generici di comportamento, che non devono essere intesi come la formula magica che risolve ogni problema, ma come spunto di riflessione per padri e madri che si trovano a dover affrontare situazioni come quelle fino ad adesso descritte.

Il primo e più importante consiglio è quello di rivolgersi sempre ad uno specialista, in particolare se le ansie e lo stress della famiglia nel suo insieme raggiungono dei livelli tali da impedire una lucida analisi della situazione. Consultare quindi uno psicologo o uno psicoterapeuta in certe fasi potrebbe realmente evitare problemi futuri. Importante sarebbe che la coppia riuscisse a farlo insieme.Un altro consiglio potrebbe essere quello di non sommergere il bambino ricoverato di informazioni, dategli solo quelle che lui richiede e che può davvero comprendere, atteggiamento questo da tenere anche con gli altri figli se molto piccoli. Rispettare i tempi necessari per accettare e metabolizzare le spiegazioni che gli si danno e spiegare al bambino che le azioni che vengono fatte su di lui non sono nocive ma anzi lo aiuteranno a guarire. Spesso i bambini reagiscono meno all'informazione che all'amore e alla sicurezza derivanti dalla fiducia. Qualsiasi cosa diciate a vostro figlio, fatelo in una atmosfera di amore e sicurezza. Ultimo ma non per importanza il favorire attraverso il gioco l' identificazione con il medico e l'infermiera.